Al Peperoncino Festival con Leonardo Da Vinci

di Enzo Monaco

Il Peperoncino Festival ha ricordato i cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci con un’originale mostra che ha presentato l’impegno del grande Maestro per la cucina e la gastronomia.

Pittore, scienziato, architetto geniale. Ma anche gastronomo e cuoco poco conosciuto. Leonardo Da Vinci è stato un vero genio in cucina anche se non sempre ha avuto successo.

Inventore dei coperchi e dei tovaglioli, ha progettato decine di “macchine” ed attrezzi, precursori del frullatore e del girarrosto assieme a cavatappi, affettatrici, macinapepe e un trita-aglio che ancora oggi i cuochi chiamano “Leonardo”.

Study of water wheel from notebooks of Florentine painter, sculptor, architect and engineer, Leonardo Da Vinci. (Photo by Time Life Pictures/Mansell/The LIFE Picture Collection/Getty Images)

Gli studi dei coniugi inglesi Shelagh e Jonathan Routh forniscono un ritratto inedito di Leonardo nelle vesti di raffinato buongustaio, amante della cucina, gestore di ristoranti, addirittura precursore della “nouvelle cousine”. Un “Leonardo in cucina” raccontato con diciotto pannelli che riproducono disegni e ricette del “Codex Atlanticus” conservati in originale nella Biblioteca Ambrosiana di Milano.

“Il ritratto gastronomico” del Maestro Da Vinci parte da una “infanzia golosa” nella bottega della madre che fa la pasticcera col patrigno Accattabriga di Pietro del Vacca. Leonardo mangia dolciumi con grande voracità e con la complicità del patrigno si diverte a creare modellini di marzapane. A dieci anni “ciccione e goloso” va a Firenze a bottega dal Verrocchio dove, fra gli altri, c’è, come apprendista, anche Sandro Botticelli.

La paga è scarsa e Leonardo “per arrotondare”, di sera, fa il cameriere alla “Taverna delle tre lumache” sul Ponte Vecchio.

Nel 1473 muoiono tutti i cuochi della locanda e Leonardo viene inaspettatamente promosso in cucina. Cambia tutti i menù e per prima cosa modifica la presentazione dei piatti che, secondo lui, sono troppo anonimi, a cominciare dalla polenta con la carne che è la specialità del locale. Mette nel piatto piccole porzioni di salame accompagnate da belle forme di polenta indurita, intagliate ad arte. Una vera e propria presentazione da “nouvelle cousine”. I clienti però non accettano la novità e Leonardo è costretto a fuggire “per salvarsi la pelle”.

Con l’esperienza delle “Tre lumache”, il Maestro capisce quanto è faticoso il lavoro del cuoco. Comincia allora a pensare ad attrezzi e macchine risparmia-fatica, le progetta e concepisce decine di disegni, quelli che in gran parte oggi ritroviamo nel “Codex Atlanticus”, per molti anni interpretati come macchine belliche.

Nell’estate del 1478, un incendio distrugge la “Taverna delle tre lumache” e Leonardo, assieme al suo amico Botticelli, fa nascere in sostituzione le “Tre lumache di Sandro e Leonardo”. Dipingono insieme le insegne del locale. I menù, scritti da destra a sinistra, sono arricchiti di disegnini per i clienti che non sanno leggere. Le pietanze, alla maniera di Leonardo, sono fatte di piccole porzioni sistemate ad arte nel piatto. Ancora una volta però la cosa non funziona e ben presto la locanda fallisce.

Per tre anni nessuna taverna vuole Leonardo come cuoco. Nel 1482 va a Milano da Ludovico il Moro ed entra al suo servizio come “Consigliere alle fortificazioni” e “Gran Maestro di feste e banchetti”. Non sono anni facili. Leonardo pensa sempre a nuove macchine per la cucina e organizza festini allietando i banchetti con musici, mangiatori di fuoco, nani e danzatrici del ventre che si esibiscono fra cascate che sgorgano dal cielo ed elefanti che volano.

Anche questa volta però il successo non arriva. Ludovico, che è molto benevolo con lui, non lo licenzia, gli suggerisce di dipingere la parete di fondo del refettorio di Santa Maria delle Grazie. Il Priore vuole che vi sia rappresentata L’Ultima cena. L’idea lo attira ed accetta volentieri anche perché c’è il cibo, il suo interesse preferito. Dal 1495 al 1498 sono tre anni di lavoro che Matteo Bandelli ci racconta nei dettagli. Per tutto il primo anno Leonardo sta per ore davanti al muro da dipingere, poi chiede un tavolo lungo quanto la parete e ogni giorno con i suoi allievi vi sistema e risistema le pietanze prima di iniziare gli schizzi. Il Priore perplesso scrive a Ludovico dicendo che Leonardo “non ha fatto un solo segno sul nostro muro”. E nel frattempo “le cantine del priorato si sono svuotate” perché il Maestro “vuole assaggiare tutti i vini al fine di trovare quello giusto per il suo capolavoro” e “i frati sono affamati perché Maestro Leonardo mette fuori uso le cucine giorno e notte per preparare quegli intrugli che dice essere le pietanze di cui ha bisogno per metterle su quel suo tavolo”.

Dopo tre anni, quando il lavoro è finito sul tavolo dipinto, ci sono pagnotte, purè di rape e anguille a fettine, un po’ troppo per il Priore dopo le centinaia di schizzi di centinaia di pietanze. Una “combinazione giusta” per Matteo Brandelli, che la giudica “una scelta fatta di semplicità e frugalità delle pietanze”.

Finita l’ultima cena la passione di Leonardo per il cibo sembra esaurirsi. “Come se quell’anguilla a fette, quel purè di rape, quei pezzi di pane, dicono i coniugi Routh, fossero il suo più alto omaggio al cibo. Prima di dedicarsi ad altri argomenti”.

L’amore per le cose da mangiare ritorna nel 1509 quando Leonardo è a Venezia al servizio di Luigi XII. A quel periodo risale la sua più grande invenzione gastronomica, la macchina per gli spaghetti. “In effetti, dicono i due studiosi,  più di duecento anni prima Marco Polo aveva portato dalla Cina qualcosa di simile ma non aveva detto che si potevano mangiare e tutt’al più erano utilizzati per decorare le mense”.

La pasta in Italia e specialmente a Napoli, c’era sempre stata ma era larga e spessa come una “lasagna”. Leonardo ne cambia la forma, inventa una macchina che la trasforma in striscioline sottili che si possono cuocere come spaghetti o, come li chiama lui, “spago mangiabile”. La gente è scettica, e il successo ancora una volta non arriva.

Piace molto questo “spago mangiabile” al giovane Francesco I Re di Francia. È un grande ammiratore di Leonardo e se lo porta in Francia come ospite nel Castello di Amboise sulle rive della Loira. C’è Francesco Melzi, il suo allievo prediletto, c’è la sua vecchia cuoca Battista de Villanis, ma c’è soprattutto un orto e una grande cucina nella quale Leonardo, libero da ogni altro impegno, può preparare i suoi intrugli. Assieme al Re Francesco, fino al 1519, l’anno della sua morte.      

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